Elliott Erwitt – Roma. Fotografie
a cura di Alessandra Mauro

Palazzo Braschi – Museo di Roma
Via di San Pantaleo, 10 (zona piazza Navona) – 00186 Roma
Orario: da martedì a domenica ore 9-19 (la biglietteria chiude alle 18)
Ingresso: intero € 8; ridotto € 6
Catalogo Contrasto

Info: tel. +39 060608; museodiroma@comune.roma.it; www.museodiroma.it

Nato a Parigi, cresciuto in Italia, residente a New York e viaggiatore instancabile. A Roma è di scena Elliott Erwitt, colonna dell’Agenzia Magnum. Una sua mostra dedicata alla Capitale è allestita a Palazzo Braschi. E abbiamo colto l’occasione per fare con lui quattro chiacchiere…

Chi è?”, chiede ad alta voce, sorridendo, dopo aver scorto velocemente la propria immagine pubblicata su un giornale. È l’autoritratto del ’79 in cui è truccato da dalmata.
Nato in Francia, Elliott Erwitt (all’anagrafe è Elio Romano Erwitz, Parigi, 1928; vive a New York) ha trascorso a Milano i suoi primi nove anni di vita, prima di una serie di migrazioni attraverso l’Europa, a causa delle leggi razziali che costrinsero la famiglia a trasferirsi negli Stati Uniti. Nel 1944, a Los Angeles, affascinato dalla fotografia iniziava a lavorare in camera oscura, ma sarà l’incontro newyorchese con Edward SteichenRobert CapaRoy Stryker – quattro anni dopo – a dare una svolta alla sua vita. Dal 1953, invitato dallo stesso Capa, è membro dell’agenzia fotogiornalistica Magnum, di cui – a partire dal ’66 – è stato più volte presidente.
Instancabile viaggiatore, Erwitt torna spesso a Roma. Numerose le immagini della città eterna che ha collezionato dagli anni ‘50 fino alla scorsa primavera, presentati a Palazzo Braschi in occasione di Roma. Fotografie di Elliott Erwitt, nella stessa sede che, nel 2006, aveva ospitato l’Omaggio a Roma di Henri Cartier-Bresson. Tra gli scatti di Erwitt, fra l’altro, c’è proprio Cartier-Bresson al lavoro per le strade di una Roma “casareccia”, dove c’erano ancora le pizzicherie.
Non è un grande oratore, Elliott Erwitt; le sue sono risposte sintetiche, centellinate, ma sapientemente dosate di umorismo. Alle sue fotografie, piuttosto, è affidato un messaggio più esplicito, talvolta dissacrante.
Girare per Roma significa, inevitabilmente, imbattersi nella solennità imponente dell’antico, che il fotografo riesce a sdrammatizzare, rendendolo più “umano”, quando ad esempio punta l’obiettivo su una Topolino che sembra sostenere il busto marmoreo di Madama Lucrezia: era il 1955. Scenari tradizionali per sposi (di tutti i tempi) che si baciano; in una foto più recente, una popolazione di lucchetti avvinghiati a ponte Milvio.
Non mancano, poi, gli animali: un gatto sornione domina la scena, dall’alto della testa grottesca di uno dei Baphomet di Piazza Vittorio; quanto ai cani – amatissimi – ce n’è uno, con tanto di cappellino di paglia, accanto alle scarpe e alla borsa di una signora e alle grucce, abbandonate sull’asfalto, del suo padrone che chiede l’elemosina.
Fedele alla vena comico-ironica con cui è solito autoritrarsi, Erwitt – in piedi nel cortile dei Musei Capitolini – mette il dito nel naso, accanto alla colossale mano destra di Costantino con l’indice puntato. “è un omaggio alla statua”, afferma…

Lei che ama sorprendere l’interlocutore, che sia cane o uomo (gira sempre munito di fischietto, naso rosso da clown, uovo finto appuntato sulla giacca…), come si è relazionato a figure di potere come quelle dei papi? Dagli anni ’60 a oggi, ha ritratto Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI…
Ho fatto molte foto di persone importanti; un papa non è differente da un altro soggetto. Con i papi, però, non è necessario usare la sorpresa! Nel 1965 ho viaggiato da Roma a New York con Paolo VI. Ero nel suo aereo insieme ad altri fotografi, ma ognuno ha avuto una breve séance personale. Lui ha dato a tutti noi dei memorabilia che, una volta tornato a casa, ho regalato ai miei amici cattolici. Motivo per cui ero molto popolare fra loro. Ricordo che Paolo VI era abbastanza simpatico, ma feci una cosa terribile. Quando mi allungò la mano perché baciassi l’anello, non sapendolo, gliela strinsi.

70670La sua visione di Roma è stata, nel tempo, suggestionata dal cinema, dalla letteratura, da personaggi incontrati… o altro?
Sono fotografo, vado a spasso e faccio le foto. Non ho grandi idee, fotografo quello che mi trovo davanti. Niente filosofia. Ho sempre una macchina fotografica con me. Sono, come dicono i francesi, un amateur. Fotografo per divertimento, hobby.

Fotografa in digitale?
Solo per i lavori commerciali, per il resto uso la pellicola.

Ha una macchina fotografica che predilige?
Ne ho tantissime, potrei aprire un negozio. Ma la preferita è la Leica.

Il bianco e nero è il linguaggio che le appartiene e a cui ricorre palesemente per esprimere le emozioni. Più raramente utilizza il colore, magari per architetture e paesaggi..-
Fotografo a colori quasi sempre per i lavori su commissione. Il bianco e nero, invece, lo uso per me. Anche le stampe sono realizzate nel mio studio di New York, come tutte quelle della mostra su Roma. Quando ho tempo stampo da me, altre volte lascio che lo faccia il mio assistente.

Dando uno sguardo al suo website, tra i vari campi – “portfolio”, “ritratti”, “istantanee”, “bambini”… – c’è anche “mani”. Che cos’è che trova affascinante nella gestualità della gente?
Ho fatto anche un libro sulle mani, Handbook. Le mani sono espressive.

Nel 1955 Edward Steichen curava al MoMA di New York la mostra fotografica The Family of Man, una panoramica che ripercorreva l’uomo nelle sue tappe alfa/omega. Fra gli oltre 500 scatti selezionati di 273 autori, c’era anche una foto particolarmente bella che appartiene al suo album di famiglia: lo sguardo della mamma e del neonato, sul letto, intercettato dal gatto che entra nell’inquadratura e che è, a sua volta, catturato da quello del fotografo…
La mia prima moglie, la mia prima figlia e il mio primo gatto. Tutti primi! È una foto scattata a New York nel 1953. Adesso la piccola Ellen è un po’ cambiata… è molto più grande e ha dei figli suoi. Si tratta di uno snapshot che ha avuto successo. Una foto di famiglia.

A un’Asta di Christie’s a New York, nel 2007, un suo portfolio ai sali d’argento - Untitled (Notebook) del 1950 – è stato venduto per 24mila dollari. Che effetto le ha fatto?
Nooo! Davvero?!? Non lo sapevo. È una cosa molto interessante. Peccato che, purtroppo, non sia stato io a venderlo.

Le è mai capitato di non riuscire, per questioni emotive, a scattare un’immagine catturata dallo sguardo?
Non mi piace umiliare la gente. Se per caso succede di scattare una foto del genere, non la stampo.

Viaggiare è il mio peccato è il titolo del libro autobiografico di Agatha Christie. Anche lei è un grande viaggiatore. Ma c’è un luogo, in particolare, in cui si sente a casa?
Ah sì, anche la Christie viaggiava? Non l’ho mai incontrata! Il luogo dove mi sento più a casa è New York, in particolare a East Hampton, nella mia casa che è vicino al mare. Qualche volta sono io a cucinare, quando si raduna l’intera famiglia. Ho molti figli – finora sono sei – e sette nipoti. Ho avuto anche quattro mogli. Così, quando ci sono tutti, preparo per loro il barbecue. In fondo, però, mi sento a casa dappertutto. Continuo a viaggiare, un po’ per la curiosità, ma anche per la professione. Sedere a casa a guardare la televisione non è una cosa molto interessante!

È stato definito “fotogiornalista dalla forte verve comica”. Quanto è importante nel suo lavoro l’umorismo e l’ironia?
Ironia? Non so, le cose vengono naturalmente. Non mi alzo la mattina e decido di essere ironico. Succede così…

Andando indietro nel tempo, le chiedo un ricordo di Robert Capa.
Amava le ragazze. Era simpatico. In America diciamo “bigger than life”. Una persona straordinaria. Non era tanto un grande fotografo, quanto un grande personaggio.

Domani?
Dopo il libro su New York un anno fa, e quello su Roma quest’anno, il prossimo sarà su Parigi. Sono i tre luoghi a cui sono più legato. Parigi è una bella città, con un carattere molto interessante, ma la gente non è così simpatica come a Roma.

a cura di manuela de leonardis (www.exibart.it)

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